VISSUTO FERROVIARIO

Guido Pasini, ex Capo Stazione Superiore, nel quarto e ultimo episodio delle sue memorie ferroviarie si sofferma su alcune vicissitudini capitategli durante il servizio che svolgeva nella stazione FS di Rimini negli anni fra il 1980 e il 1990.

Una volta mentre ero in servizio cadde un ponte che scavalcava un rigagnolo all'estrema periferia nord di Rimini, dopo il passaggio di un treno locale per Bologna. Il locomotore isolato che lo seguiva fu fermato grazie all'intervento di un casellante che se ne accorse per tempo; ancora una decina di metri e il locomotore sarebbe caduto in quella voragine. E contemporaneamente, lato Ancona, il treno rapido - il primo prototipo di pendolino - proveniente da Roma si era arrestato sull'ultimo P.L. prima di arrivare agli scambi della stazione.

Ero in un mare di guai e non vi nascondo che non sapevo come uscirne. Chiamai al telefono il C.S. titolare, signor Cavalli Renato, che in meno di 10 minuti mi affiancò e prese in mano con decisione e competenza tutta la circolazione dei treni che fu deviata sulla linea di Ravenna, linea che venne urgentemente aperta e abilitata con i C.S. Riuscii con molta fatica, anche per la stanchezza accumulata, a fare giorno. Fra le pratiche, il rapporto e burocrazia varia, arrivai a casa alle 10, dove ero atteso con trepidazione dai miei famigliari, anche se li avevo avvertiti che avrei fatto tardi. Da quel momento venni additato come D.M. di Rimini sfigato.

D'abitudine, ritornavo a casa in bicicletta dopo il servizio notturno e, abitando ancora a Marina Centro non lontano dal Grand Hotel e dalla rimessa degli autobus (Tram), mi servivo del sottopasso ciclopedonale di viale Principe Amedeo per superare la ferrovia. Nei giardini del piazzale Cesare Battisti, quelli con la fontanina a ridosso delle mura che limitavano la ferrovia, bivaccavano e dormivano in giacigli improvvisati vari gruppi di giovani, direi sbandati e anche fatti, soggetti poco raccomandabili.

Una mattina, improvvisamente venni avvicinato da uno di questi che mi chiese una sigaretta e anche soldi. Io ero stanco e non vedendo l'ora di arrivare a casa per riposare, risposi sgarbatamente: Non fumo e vai a lavorare e a guadagnarti da vivere e continuai a camminare, perché ero sceso di sella per scendere nel sottopasso. Ebbi per risposta un mugugno e mi parve di capire: Lavora tu, povero fesso, per noi e di corsa mi defilai. A mente fredda, in seguito pensai che avevo rischiato grosso perché la reazione di quel giovane sarebbe potuta essere diversa e violenta.

Da quel giorno non passai più dal sottopasso pedonale ma, allungando la strada, da quello automobilistico, sotto il ponte di ferro, per infilarmi poi nel viale Dardanelli che a quell'ora tornava ad essere tranquillo perché le prostitute erano tutte andate a dormire. Fortunatamente un collega riuscì a procurarmi la chiave di un cancelletto in uso ai servizi elettrici della ferrovia, che si apriva su via Monfalcone, a due passi da viale Principe Amedeo, evitandomi così di passare dai giardini e dal sottopasso.

In seguito mi trasferii con la famiglia a Miramare, in un appartamento condominiale quasi al confine con il parco di Fiabilandia. Raggiungevo la stazione di Rimini con la bici e qualche volta con un Mosquito. Andando in servizio o tornando dallo stesso, mi è capitato in più occasioni di venire puntato da macchine cariche di giovani schiamazzanti, lanciate a forte velocità, e che all'ultimo momento mi evitavano fra le loro risate; al contrario, in me provocavano tanta paura. Erano giovani reduci dalla notte passata in discoteca, resi alticci da libagioni e forse anche da qualche altra sostanza.

Non finì così il 14 agosto 1994. Alle 05.50 di quel mattino la mia vita e quella della mia famiglia subì un improvviso cambiamento. Stavo recandomi al lavoro per il turno 06.00 - 13.00 nella stazione di Rimini in sella a una bici Mosquito quando, passato l'incrocio di via Pascoli e in prossimità dell'incrocio di via Tripoli, di fronte alle case popolari, venivo violentemente tamponato da un'auto guidata da uno sbandato che non era ancora andato a dormire, fatto di droga e che molto probabilmente si era addormentato guidando a forte velocità.

Testuali le sue parole dette ai carabinieri intervenuti: Andavo forte e non l'ho visto. Penso che a quell'ora su quella strada fossimo solo noi due a circolare! Volai letteralmente in aria e ricaddi fortunatamente non sull'asfalto, ma sul cofano di una macchina che era parcheggiata lì vicino; il cofano attutì la caduta. Mi hanno raccolto quasi a pezzi: commozione cerebrale e tutti gli arti ridotti male: ginocchio destro con tutti i legamenti rotti, fratture varie all'altra gamba, una spalla lussata e fuori sede, polso della mano sinistra fratturato.

Rimesso quasi in sesto dopo 90 giorni di ricovero ospedaliero e due interventi chirurgici, ne porto ancora le conseguenze.
E poi sulle notti passate in servizio, ce ne sarebbero ancora tante da raccontare.

Guido Pasini