C'ERA UNA VOLTA L'OFFICINA GRANDI RIPARAZIONI RIMINI

Carissimo Gian Carlo Lotti, sono diversi gli avvenimenti che hanno caratterizzato la nostra vita, contribuendo a far sorgere tra noi una franca e leale amicizia via via consolidatasi nel tempo: dalla prima volta che ci siamo incontrati come lavoratori ferroviari alle successive concrete occasioni avute per conoscerci meglio. Ecco le analogie che si possono cogliere esaminando la nostra vita. Siamo ambedue romagnoli di nascita (io di Faenza e tu di Rimini); i nostri genitori erano anch'essi romagnoli doc: ambedue per diverso tempo abbiamo vissuto e abitato a Bologna dove i nostri padri lavoravano come ferrovieri alla conduzione di vaporiere.

A entrambi ci è stata trasmessa quella passionaccia per i treni e in particolare per le locomotive a vapore. Abbiamo frequentato inconsapevolmente la stessa scuola superiore (l'istituto Tecnico Industriale Aldini-Valeriani) ove entrambi ci siamo diplomati, io tre anni prima di te, essendo io di altrettanti anni più vecchio. Abbiamo partecipato allo stesso concorso per venire assunti in ferrovia con la qualifica di Capo Tecnico e, dopo un periodo di apprendistato presso diverse officine ferroviarie, siamo stati ambedue assegnati in pianta stabile alla Officina Locomotive di Rimini.

Comunque, bando ai ricordi ed entriamo nell'argomento che voglio affrontare con questo mio scritto. Mi complimento, amico Gian Carlo, per quello che hai scritto sulla Officina Locomotive di Rimini nell'ultimo numero della rivista del DLF, dove hai illustrato il periodo dominato dalle locomotive a vapore e successivamente dalle locomotive diesel elettriche, fino alla situazione attuale ove poni in evidenza la costante progressiva riduzione, nonché declassamento, delle attuali lavorazioni affidate a questo stabilimento. Hai messo proprio il dito su una piaga che è il tormento per quella sempre più ridotta schiera di lavoratori dell'officina che hanno partecipato con entusiasmo e senso di responsabilità a quella sua lunga e onerosa metamorfosi.

Tuttavia voglio segnalare che non hai messo in evidenza (probabilmente per condensare il tuo scritto negli spazi assegnati per la pubblicazione sulla citata rivista del DLF), un'altra importante trasformazione avvenuta contemporaneamente: l'adeguamento dell'Officina alle nuove norme di legge sulla sicurezza e sull'igiene del lavoro, entrate in vigore in quel periodo. Fu uno stressante impegno che ha trasformato lo stabilimento dotandolo di una veste nuova e più moderna, il tutto direttamente pilotato da un Capo Impianto (l'Ing. Edoardo Oliva), grande e instancabile lavoratore, ma altrettanto scorbutico personaggio, dal giudizio spesso tagliente.

In conclusione, l'Officina Locomotive di Rimini, pur essendo ancor oggi potenzialmente idonea a sostenere i propri compiti, si vede esonerata dal continuare nella sua precedente attività svolta sempre in modo corretto, sia dal punto di vista tecnico che nel rispetto delle normative inerenti il lavoro. Purtroppo, successivamente a quel periodo, si è insinuata l'idea (da parte di alti funzionari della ferrovia) che la riparazione e manutenzione dei rotabili dovesse essere assegnata all'Industria Privata, ignorando completamente i danni che ne potevano conseguire per inesperienza in campo ferroviario.

In proposito è significativo ricordare i grossi guai cui si è andati incontro quando fu commissionata alla I.P. la progettazione e costruzione di locomotive da manovra dieselizzate, destinate a sostituire le vecchie locomotive a vapore, nelle quali decisero di sostituire la tradizionale trasmissione a bielle con quella ad alberi cardanici e ponti riduttori sulle sale, senza tenere conto che il comportamento pneumatico/manto stradale è molto diverso da quello cerchione/rotaia.

E ora ti saluto, amico Gian Carlo, terminando per il momento questi discorsi che continueremo tra noi per sfogare la nostra amarezza.

Sergio Castellucci