RICORDI DI VITA VISSUTA NELL'OFFICINA LOCOMOTIVE

Sono nato a Rimini il 16 Giugno 1932 da famiglia riminese le cui radici affondono in questo territorio da molte generazioni e, tutto sommato, accettando pregi e difetti dei romagnoli, sono contento di essere riminese d.o.c. Sono contento del cognome che porto e anche del cognome di mia madre (Emilia Castiglioni) che, non avendo la legge italiana adottato la regola vigente in Spagna, non posso unire a quello di mio padre.

In proposito, mi sia concessa una frivola ma innocua vanità: voglio sottolineare che entrambi i cognomi occupano un posto di rilievo nella storia passata, il primo (Lotti) è anche quello di Santa Rita da Cascia (al secolo Margherita Lotti da Roccaporena) e il secondo (Castiglioni), cognome di probabile origine spagnola, appartiene a due papi (Celestino IV, al secolo Goffredo Castiglioni, milanese, e Pio VIII, al secolo Francesco Saverio Castiglioni da Cingoli).

Ne consegue che io mi trovo, come si è soliti dire, in una botte di ferro avendo le carte in regola per reclamare in caso di bisogno qualche intercessione taumaturgica e una buona parolina quando sarà il mio momento di entrare nell'aldilà. Chiusa questa digressione, torniamo ai fatti personali che mi riguardano.

Ho svolto tutti i miei studi a Bologna (mio padre era in forza al Deposito Locomotive di Bologna C.le), completati all'Istituto Tecnico Industriale Aldini - Valeriani dal quale sono uscito con il diploma di perito elettrotecnico nell'anno 1952. E fu proprio questa mia preparazione teorica a favorire il mio trasferimento da un impianto ferroviario di Milano (Squadra Rialzo di Milano C.le) dove, appena assunto in ferrovia, ho fatto per circa 3 anni la necessaria gavetta, alla OGR di Rimini.

Era l'anno 1957 e l'epoca gloriosa delle locomotive a vapore stava volgendo al termine per cedere il passo a locomotive di nuova concezione, le dieselelettriche, diverse in tutto per la meccanica e per essere un concentrato di nuove tecnologie (potenti motori termici da 1400 cavalli, generatrici e motori elettrici di trazione e tutta una serie di numerose e inconsuete apparecchiature ausiliarie), per quei tempi da ritenersi all'avanguardia in fatto di progresso tecnico.

È assai facile, anche per coloro che non hanno vissuto quel periodo, immaginare l'immane sforzo sostenuto per adattare le capacità professionali di tecnici e operai ai nuovi compiti richiesti da questa rivoluzione tecnologica, personale che ha veramente risposto con grande slancio e fattiva collaborazione; quello che scrivo, tengo a precisare, non è frutto di una edulcorata versione della realtà, come spesso accade quando essa viene distorta, se vista con occhi nostalgici. Sento quindi il dovere di testimoniare, e per questo siamo ormai rimasti in pochi, la grande disponibilità e duttilità con cui maestranze provenienti prevalentemente dal contado (lo dico con profondo rispetto) seppero rispondere efficacemente a quelli che erano gli imperativi da rispettare in quei tempi di trasformazione.

Ricordo altresì che in quel periodo si inserirono anche altre lavorazioni, come la trasformazione di carri merci serie F in carri frigoriferi, la costruzione di carrelli 27B per carrozze viaggiatori, carri tramoggia serie VT, carri serie L ad alte sponde, ecc., tutte lavorazioni affrontate con altrettanto eclettico impegno.

Ciò detto, devo purtroppo aggiungere di avere avuto una stretta al cuore quando ho letto sul numero de La Nostra Voce di Febbraio Marzo 2017 la notizia che l'Officina si era trasformata in OMCL, acronimo che suppongo voglia significare Officina Manutenzione Ciclica, con evidente declassamento rispetto a quello di Officina Grandi Riparazioni (OGR), operazione che avrà gettato certamente alle ortiche gran parte delle attrezzature e competenze specifiche acquisite anno dopo anno, nella fiduciosa speranza che tutte quelle fatiche avrebbero poi prodotto una positiva ricaduta sulla economia della città di Rimini.

Non è andata così e ora a me, ormai prossimo al capolinea, non resta che il rammarico di vedere vanificati gli sforzi di oltre 30 anni di lavoro condiviso con tanti miei validi colleghi che hanno vissuto quel periodo. Chiedo venia di questo mio scritto, che rispecchia lo stato d'animo di uno come me che ha avuto una sorta di imprinting nei confronti del mondo ferroviario, complice mio padre che, orgoglioso del suo lavoro, mi portava bambino di 3-4 anni, a vedere le mastodontiche e sbuffanti locomotive a vapore.

Gian Carlo Lotti