ESKIMO

Protagonisti di questa piccola storia: un macchinista, un aiuto macchinista, un capotreno e... un eskimo. Per i più giovani questo termine può risultare quasi sconosciuto, invece per quelli un poco più avanti con l'età può essere come una vecchia foto sbiadita che riporta indietro nel tempo e fa rifiorire certi ricordi. La parola eskimo si dice derivi da un certo modo di vestire degli eschimesi. Trattasi di un giaccone impermeabile con interno e cappuccio foderati di pelo sintetico, con una ottima protezione termica. Cappuccio e fodera avevano la possibilità di essere staccati nei periodi più miti.

Questo abbigliamento divenne famoso con le prime rivolte studentesche degli anni sessanta e simboleggiò un certo anticonformismo giovanile. Con l'andare del tempo la connotazione sfumò, rimanendo per un certo periodo solo un capo pratico e utile a molti. Nei primi anni settanta il personale delle FS aveva in dotazione solo pantaloni, camicie e giacche e nient'altro da indossare per proteggersi dal freddo: così l'eskimo diventò un capo abbastanza usato tra noi, un eskimo innocente, come cantava Guccini in una sua bellissima canzone, cioè privato da ogni simbolo e significato, solo un qualcosa di pratico e a buon prezzo.

In quel periodo lavoravo in coppia con Filippo Vannini ed entrambi in inverno vestivamo in quella maniera. A fine stagione occorreva portare l'eskimo in lavanderia perché i locomotori erano molto sporchi: vaschette piene d'olio qua e là, spifferi che infilavano in cabina di guida polveri di ogni genere, residui di riparazioni lasciati sul posto. Il corridoio che collegava le due cabine di guida era uno stretto passaggio dove era facile lasciarci anche qualche pezzo d'abito.

All'inizio di un certo inverno, i nostri giacconi erano veramente ridotti male; non c'era ormai lavaggio che tenesse, erano diventati anche logori, sdruciti. Andavano al più presto sostituiti. Presa la decisione, io fui abbastanza pronto a comprarne uno nuovo. Non altrettanto dicasi di Filippo; passavano i giorni e si ripresentava al lavoro con il solito eskimo adducendo vari motivi per il mancato acquisto.

Finalmente, un pomeriggio, arrivò trionfante con il nuovo acquisto. Ai miei complimenti, rispose scherzando che adesso il suo era sicuramente più bello del mio. E così, tra una battuta e l'altra, iniziammo il nostro servizio che prevedeva una andata e ritorno su Bologna. Giunti nel capoluogo emiliano, in attesa del servizio di ritorno, ci recammo a cena in mensa. Fatti gli scontrini alla cassa, appendemmo i nostri eskimo uno accanto all'altro negli appositi spazi ed entrammo nella sala dove a quei tempi si veniva serviti ai tavoli. Vista l'ora, ormai poca gente era presente e in breve tempo finimmo di cenare.

All'uscita, al momento del ritiro dei nostri giacconi, il dramma: l'eskimo di Filippo era sparito! Al suo posto un altro, certamente ancora più malmesso di quello che aveva appena sostituito! Domandammo al barista se avesse notato qualcosa di particolare nelle vicinanze dei nostri giacconi e questi ci rispose che in effetti due ferrovieri si erano attardati un po' attorno a essi. Avendoli sentiti parlare, aggiunse che uno di loro poteva essere un capotreno in partenza da lì a poco dal piazzale Ovest. Trovandoci al piazzale Est, ci aspettavano un centinaio di metri da fare a tutta velocità.

Non ancora arrivati sul posto, si vedeva già da lontano l'eskimo di Filippo in tutto il suo splendore: la persona che l'indossava stava dando il pronti alla partenza al dirigente preposto a dare il via libera. Questi, sentendo le nostre urla, sospese l'azione. Filippo, giunto un poco affannato a faccia a faccia con il capotreno riuscì a chiedere, mantenendo un'ammirevole calma, se per caso non si fosse sbagliato a ritirare il proprio eskimo.

Questi, faccia di bronzo come pochi, guardò il giaccone indossato, toccò le maniche fingendo una certa sorpresa e, vedendosi porgere da Filippo il suo malmesso eskimo, bofonchiò che forse si era sbagliato! In fretta effettuarono lo scambio e ancor oggi penso che lo sguardo di Filippo andò molto vicino a incenerire il furfante. Rimasi fermo a guardare partire il treno mentre Filippo accarezzava felice il suo ritrovato lucente giaccone. Poi, stemperatasi la tensione accumulata, cominciarono tra me e Filippo le risate e gli sfottò che durarono a lungo.

Luciano Caldari