Questi amarcord devono essere frammenti di vita vissuta, qui, da ferrovieri, frequentatori già giunti agli ...anta ...anta!
Ricordi, impressioni, sensazioni, nostalgie come flash che possano far rivivere particolari inediti da aggiungere come appendice al magnifico libro di Storia del Dopolavoro.
Quel giorno, non ricordo quale, sentii il babbo dire alla mamma: - Lo porto con me -.
Avevo un fratellino di circa due anni e se il babbo aveva deciso così era per lasciarla libera, evidentemente, non dovevo proprio essere un angioletto seduto sul sofà. Ma ricordo che mi rallegrai; uscivo col babbo e ciò non capitava quasi mai. Era una limpida giornata della prima primavera, tuttavia la mamma mi fece infilare il cappottino con il bavero e i polsini di velluto e raccomandò il babbo di indossare il cappotto buono che era quello del matrimonio di stoffa inglese come si diceva allora. Mi prese per mano e camminammo sul marciapiede della via Roma.

- Dove andiamo? - Al Dopolavoro -, mi rispose.
Non c'ero mai stato, per me il dopolavoro era quello delle caramelle e dei cioccolatini che lui mi portava alla sera. Diceva che aveva vinto... Ma sarà stato vero? Vinceva sempre?
All'altezza della villa dei Benzi, la famiglia di quel Titta dell'Amarcod, tre o quattro ragazzi parlavano forte fra loro, usavano parole grasse ed uno bestemmiò. Fu rimproverato da un altro, ma quello negò.
- Signore e vero che ha bestemmiato? - Il mio babbo rispose: - Non ho sentito -.
Dopo alcuni passi io dissi: - Ma babbo ha bestemmiato, io ho sentito! -
- Si, ma non volevo essere io a pormi nel mezzo e magari farli litigare di più. -
Rimasi male, ma forse aveva ragione lui. Il ricordo di questo episodio tra ragazzetti che potevano avere qualche anno in più di me rimase sempre nella mia memoria. Uno di quelli abitava nella mia zona e continuai a vederlo: era un ragazzo dal fisico piuttosto massiccio e con un naso particolare. Si chiamava Nicolò e fu uno dei tre martiri impiccati nella nostra città per aver osato prendere le armi contro i nazifascisti.
All'entrata un cancello grande e subito a sinistra una tettoia piuttosto vecchia coperta da lamiere ondulate che serviva come posteggio gratuito per le biciclette. Terreno ghiaioso. Un poco più avanti due giochi bocce, quelli con le sponde volute. Più avanti il tennis, cinto da alte reti affinché le palle fossero trattenute entro il perimetro di gioco. Leggermente spostato verso la ferrovia la tribunetta con tettoia e scaloni di fronte al campo di calcio.
La maglia della squadra di calcio del Dopolavoro Ferroviario era rossonera, con calzoncini neri. Il babbo mi spiegò che il rosso rappresentava il fuoco del forno della locomotiva ed il nero il carbone che lo alimentava.
Allora c'era una grande rivalità fra Dopolavoro e Libertas che giocava nello stadio nuovo. La Libertas aveva la maglia a quadrettoni biancorossi, come il Rimini oggi.
Ricordo un episodio di circa un anno prima, quando ancora abitavo in via Gambalunga, al numero 6, dove sono nato. Viveva nella porta accanto una vivace e graziosa fanciulla che aveva una decina di anni più di me; si chiamava Liliana. Oggi, se fosse ancora viva, dovrebbe avere circa novantanni. Liliana parteggiava per il Dopolavoro, pertanto per i colori rossoneri, ma di sotto come praticante nel negozio di barbiere c'era un giovane che aveva circa la sua età e che parteggiava per i colori avversi. Aveva dipinto i due battenti circolari del possente portone del palazzo antico con i colori biancorossi. Liliana allora, mi prese per mano e scendemmo in silenzio e al buio le due larghe scale con un barattolo di vernice nera che lei pose, con grazia, sulla parte bianca e così risplendettero sui battenti il rosso ed il nero.
Ma il praticante non si arrese e molte volte, di notte, mano nella mano, scendemmo quelle scale; poi un giorno scopersi che Liliana baciava il nemico proprio sulla scala che scendevo con lei. Fu un'offesa, un tradimento, non volli più vederla. Ma forse mi ero innamorato.
(Continua)
Vi. Ve.