UNA DELLE TANTE FOTOGRAFIE

Quella notte il vento e la pioggia l'avevano fatta da padroni. Giunti alla sera a Biella, al mattino seguente dovevamo effettuare un treno per Milano via Novara. L'aria frizzantina del primo mattino annunciava una bella giornata. Il fortunale della notte aveva spazzato il cielo che ora si presentava pieno di stelle. Il vento era cessato, il silenzio era rotto solamente dall'insistente canto del merlo in amore. Già, in amore perché eravamo in primavera.

Salito sulle automotrici del gruppo 772 della seconda serie, assieme a Fernando il mio aiuto, controllate le apparecchiature ed i livelli, messo in moto i quattro motori, caricati i viaggiatori, al via del capostazione ci lanciammo veloci giù per la discesa incontro al sole nascente. L'emozione che si prova alla guida di un treno nel volare fra boschi e paesi, attraverso l'erbosa e selvatica baraggia(1) dove da padroni la fanno serpi, fagiani, falchi e cornacchie, ha un fascino particolare. È un viaggiare diverso e meno emozionante che trovarsi fra monti o dentro lunghe e buie gallerie, ma altrettanto stimolante.

Eravamo giunti nei pressi di Rovasenda, dove la linea fa un'ampia curva. Nella luce ingannevole del primo mattino, all'ombra della fitta macchia boschiva proiettata sul nostro cammino, mi parve di scorgere un albero caduto sulla massicciata(2) e di traverso al binario. Sorpreso da quell'ostacolo improvviso azionai immediatamente il freno e disinserii la marcia. Nel momento, non pensammo nemmeno di uscire dalla cabina e rifugiarci in vettura.

Nonostante la massima frenatura, guardavamo allibiti quella massa di tronchi e rami che si avvicinava sempre più. Negli ultimi metri che restavano, la velocità era ancora abbastanza sostenuta. Stringemmo i denti sperando che il muso della macchina coi suoi respingenti avesse resistito. Colpimmo la massa fra stridii di lamiere e sobbalzare dell'automotrice, poi eravamo fermi. I motori continuavano a far udire ancora il suono della loro vitalità.

I viaggiatori allarmati, inebetiti, si sporsero dai finestrini, altri vennero avanti in vettura per rendersi conto dell'accaduto. Quando fui a terra cominciai a verificare come eravamo messi, se si poteva togliere l'ostacolo e se era possibile proseguire. L'automotrice non aveva subito danni gravi che potessero compromettere il proseguimento del treno, al momento constatai solo graffiature e ammaccature alla carrozzeria. Quello che mi preoccupava era quell'accidente di albero. Troppo grosso, e non avevamo nemmeno la sega per poterlo alleggerire dai rami.

Mi rivolsi ai signori uomini viaggiatori: - Se voi tutti che mi state a guardare, mi date una mano a togliere l'albero dal binario, vi prometto di portarvi a Milano e spero mi riesca di recuperare il ritardo, altrimenti restiamo fermi fino a che non viene la squadra addetta. Vi avverto che fra avvisare la stazione e attendere la squadra, a lavoro finito qui ci stiamo almeno due ore -. Molti volonterosi scesero dal treno. Nonostante fossimo in parecchi non fu per niente facile far ruotare la pianta fino a liberare il binario.

Dopo un accurato controllo ai freni e agli altri organi, invitai tutti quelli che erano scesi a terra di salire sul treno che si partiva. A Milano arrivammo con solo quattro minuti di ritardo. Fortunatamente la faccenda si concluse solamente con un grosso spavento. Ci era andata bene.

(1) Il passaggio della baraggia è unico e si fanno incontri unici come quella volta che a lato del binario c'erano due pecore morte, presumibilmente investite da qualche treno. Al ritorno da Novara, giunti sul posto, constatammo nostro malgrado che a divorare le carcasse, c'erano una quindicina di grossi falchi. Si levarono in volo a pochi metri dal muso della macchina. Di fronte a quella moltitudine di ali aperte, mi coprii il volto con le braccia nel timore che investendo quei grossi rapaci, il vetro si fosse potuto rompere.
(2) Per massicciata, s'intende la parte ghiaiosa che sostiene il binario.

Benito Colonna